Jonathan Bazzi, Febbre: un rapper letterario.
ovvero
Il Giovanni Testori dei nostri giorni e la sora Cecioni dell’irrangiungibile Franca Valeri.
Alternando un capitolo sulla propria infanzia e biografia, e uno sulla vicenda clinica più recente e che lo vede protagonista nello scoprire di essere sieropositivo, Febbre (Fandango 2020) l’imperdibile volume del finalista al premio strega Bazzi ti obbliga a non interrompere la lettura anche se hai sonno, oppure hai fame ed è l’ora di cena.
Jonathan Bazzi (Jonathan con la TH naturalmente e nella giusta dizione, come voleva la mamma di lui al momento di scegliere il nome); ecco, questo Jonathan, per 300 pagine grosso modo, ci parla di sé, del suo mondo passato e presente; e il lettore non può che immergersi in esso.
La trovata di cui dicevo sopra e, cioè, di alternare un capitolo circa la vita prima di scoprire di essere sieropositivo e un capitolo sul dopo, sono come due storie parallele e produce l’effetto straordinario di farti leggere i due momenti separati, quasi l’uno non c’entrasse nulla con l’altro: finito un primo capitolo vorresti saltare quello successivo e riprendere da quello dopo per vedere come va a finire la storia, peraltro ricordando che avevi provato la stessa tentazione al capitolo precedente per l’altra.
In questi giorni festeggiamo i 100 anni di Franca Valeri, i suoi personaggi macchietta, la Sora Cecioni, la signorina Chic, personaggi che l’attrice milanese ha rappresentato con i loro tic, e le loro manie, i loro luoghi, le loro frenesie, le loro psicosi, le loro nevrosi.
Ebbene, Bazzi è il rapper letterario di Rozzano nella versione autobiografia-romanzo: egli sa dare, dei personaggi macchietta comica di Franca Valeri, una sua versione nel lato oscuro nonché tragico della vita dell’uomo, e il lettore piange il destino di coloro che infelici ne hanno avuto uno diverso dal proprio, ma in fondo è come se l’autore stesso riuscisse a dare un senso anche e persino a tutta questa sofferenza e bruttura da cui si è salvato.
Le due storie partite da due punti opposti e così distanti fra loro cronologicamente, il passato che cresce e il presente che sembra immobile nell’essere tragico, si riuniscono verso la fine del volume quasi avessero percorso parallelamente un tratto di strada ignorandosi, per poi ricongiungersi nella persona dell’autore dell’oggi: il punto di coerenza e di unità di tutto il romanzo-autobiografia è Jonathan stesso, che appare essere finalmente il prodotto di un vissuto; e quel vissuto ci coinvolge drammaticamente.
Ma vi è ancora una riflessione da fare allo scopo di persuadere chi ora legge queste mie parole, nonché di acquistare e leggere Febbre; ed essa riguarda lo stile narrativo: esso descrive la crudezza delle vicende come quando il libro ci deve raccontare che il padre per soddisfare il desiderio di Jonathan di andare a Dublino, gli svuota il conto corrente bancario, fatto gli anni di mancette e risparmiucci di un bambino con la scusa che: “o così o niente!”
Il giudizio dell’autore sul padre è severo, per non dire impietoso alla pagina 64: “Mio padre è una promessa non mantenuta.” Laddove, l’unica cosa che la famiglia di lui mantiene è quella di dare la vita a qualcuno per errore e a lui di fornire tutte quelle occasioni che faranno di essa un incubo, fatto di violenza, ignoranza, dolore. Il mondo che circonda Bazzi è fatto di persone assurde, tragiche, moralmente abbiette: prima seducenti come Alex, per esempio, il terzo uomo di fila della madre Tina, il quale, di seduzione in seduzione, rivelerà poi il proprio volto di essere umano (umano?) violento e ignobile, massacrando di botte la stessa Tina davanti a Jonathan adolescente e alla bimba che ha avuto da lei e che ha solo pochi anni di vita. E così il mondo dei nonni che non sanno neanche parlare una lingua italiana compiuta e che rubano al supermercato e a lui insegnano a fare lo stesso.
E tutto questo è tradotto in uno stile che rende questa idea di dolore; Bazzi, da qualche parte (l’ho letto, ma mi scuserete se non ricordo dove: chiedetelo a lui), dice di essere stato accusato di scrivere come un bambino, o anche in modo troppo semplicistico. In effetti, non vi è una punteggiatura chiara, non vi sono i due punti del discorso diretto né le virgolette in alto, e spesso il lettore non capisce bene chi dica cosa; manca quanto normalmente rende la prosa di uno scrittore limpida, chiara, ariosa.
Ma in Bazzi la forza della sua narrazione risiede proprio qui: parole e frasi rotte, oppure quasi buttate sulla carta qua e là in disordine, frammenti di pensieri non mediati, così come escono dalla sua testa, lista di sentimenti elencati apparentemente a casaccio e segno forse di una balbuzie confessata nel volume con sempre maggior dolore: ecco, tutto questo vuole essere trasferito nello stile che Jonathan intende usare per descriversi e descrivere il proprio mondo, il vissuto sociale di una Rozzano che assomiglia in tutto al Bronx di New York.
Si dirà: “Anche Giovanni Testori parla di disagio sociale, ingiustizia e violenze domestiche, ma usa una lingua degna di Alessandro Manzoni!” Sì, vero! Quanto lontano è Bazzi da Testori: e allora? Efficace l’uno per un verso, efficace anche l’altro. Ogni libro è il proprio stile e Febbre ci offre quello di Bazzi che è stile di vita.
Non perdete questo testo, mi raccomando!
Davvero bravo, Jonathan (con il TH naturalmente!).
Buona lettura.