La recensione di oggi pone la parola fine ad una trilogia storico-religiosa che qui sul blog abbiamo seguito sin dai suoi inizi.
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La recensione di oggi pone la parola fine ad una trilogia storico-religiosa che qui sul blog abbiamo seguito sin dai suoi inizi. Nel caso dei primi due volumi – Epistola a Tiberio e Janus – eravamo di fronte ad opere narrative con ambientazione verosimilmente storica e caratterizzate da una certa unità di eventi, luoghi e stile, oltre che dall’avere trame appassionanti con colpi di scena molto ben calibrati. Quest’ultimo aspetto, anzi, è il vero trait d’union tra le tre opere, il che garantisce una lettura avvincente.
Ne La conversione di Costantino possiamo da subito notare molti cambiamenti. Anzitutto, la mole: i precedenti romanzi erano corposi, certo, ma qui superiamo le 700 pagine scritte con caratteri minuti rispetto alla media. L’impressione tattile e visiva è quella del “mattone”: termine, per fortuna, che in questo caso è lusinghiero. La corposità dell’opera è il riflesso della struttura della stessa. Le due precedenti, come detto, avevano una loro compattezza. Ne La conversione, invece, assistiamo sì ad un rimbalzo della narrazione tra presente e passato, ma non nel modo semplice e pigro di una “alternanza” di linee temporali (qualcosa visto e rivisto in centinaia di romanzi); infatti, nel nostro caso, è il presente a “leggere” letteralmente il passato. Quest’ultimo, infatti, viene raccontato attraverso le lenti e le opinioni dei protagonisti del presente, impegnati nella traduzione e commento di alcuni presunti manoscritti risalenti al IV secolo d.C.; i quali protagonisti del presente – su cui dirò tra poco – sono a loro volta coinvolti in diverse trame. E le vicende del passato (un passato che si colloca tra metà III e inizio IV secolo d.C.), anch’esse, non sono esposte in modo cronologicamente lineare e a volte, addirittura, offrono diverse versioni dello stesso (pseudo)evento del passato
In sostanza, La conversione di Costantino presenta un intreccio complesso ma non complicato: l’autore, saggiamente, ha inserito in modo accorto dei rimandi interni per bocca degli stessi protagonisti, che aiutano notevolmente il lettore nel procedere del romanzo.
Un romanzo di 700 pagine non può essere digerito dal lettore senza personaggi interessanti o le cui vicende (interiori ed esteriori) non lo siano. La conversione ha, da questo punto di vista, un grande pregio di semplicità: il cuore del romanzo è il rapporto tra le due figure di protagonisti. Si tratta della voce narrante in prima persona e vivente le vicende, che è l’autore stesso; accanto a lui, per buona parte dell’opera, appare l’allora Santo Padre Benedetto XVI. Confesso che, all’inizio, ero rimasto spiazzato da quest’ultima scelta, che mi sembrava decisamente troppo ambiziosa (forse anche presuntuosa): non si poteva però negare la curiosità di scoprire come l’autore avesse sviluppato la faccenda. Con lo scorrere delle pagine ho dovuto ricredermi dalla prima impressione. È proprio il rapporto tra i due a costituire l’ossatura del romanzo, sia nelle vicende del presente sia nella lettura di quelle del passato. Questa caratteristica è molto importante perché La conversione di Costantino è sì un mattone (avrete ormai capito che “mattone” è un termine elogiativo) di 700 pagine dallo stile forbito, ma possiede una intrinseca semplicità di fondo che è data dall’avere un suo centro di gravità chiaro e definito: il rapporto prima intellettuale e poi umano che si instaura tra i due protagonisti; rapporto strettamente legato alle vicissitudini interiori del protagonista. Questa, cari amici, è quella io definisco tridimensionalità di un personaggio.

Vi sono sì molti altri eventi – la trama del passato che coinvolge personaggi storici come Costantino, Diocleziano, diversi papi a cavallo tra IV e III secolo ecc.; risvolti “thriller” nel presente – ma il cuore del romanzo (fino alla sua risoluzione finale) è nelle parole che il protagonista e il papa si scambiano. Con un di più: noi lettori “del futuro”, ovviamente, sappiamo che Benedetto XVI si è dimesso e, dunque, non possiamo non leggere il tutto alla luce di questo fatto; cioè introdurre, di fatto, tramite questa sorta di prologo implicito da commedia latina, un terzo piano di lettura.
Benedetto XVI è un personaggio reale; il lettore troverà una descrizione del papa incredibilmente accurata. Non è soltanto il far leva sul ricordo “mediatico” che chiunque ha dell’ex-papa; Miradoli riesce, io credo, a scavare oltre e restituire appieno la figura (apparente o meno starà al lettore scoprirla) di un intellettuale discreto nei modi e pacato nella persona. E, considerando quanto letto nei precedenti romanzi e quanto noi sappiamo accadrà al papa il 28 febbraio del 2013, non possiamo non rimanere affascinati da questa lenta opera di “seduzione” dell’uno nei confronti dell’altro.
Nel confronto con le prime due opere della trilogia ho parlato di cambiamenti, ma non vi sono solo questi: la lettura di poche pagine del romanzo permette di far notare molte similitudini, soprattutto stilistiche. Il fresco lettore dell’Epistola e di Janus riconoscerà lo stile colto e raffinato dell’autore, che ne La conversione, profittando della doppia ambientazione e dell’uso della prima persona, si è dato maggior libertà “sperimentale” (perché in questi tempi riscoprire parole dimenticate del passato è sperimentazione).


Per concludere, rispondo come d’uso alla fatidica domanda: a chi è consigliata la lettura de La conversione di Costantino? La risposta è una domanda molto schietta: ho letto le ultime cinquanta-settanta pagina tutte di fila, in una sola volta? Sì, assolutamente.
Questo accadeva anche con i due precedenti romanzi e credo basti a decretare la bontà dell’opera di Miradoli.