Alessandro Barbero non cessa di stupire con i propri scritti di storia. Ve lo dice uno che sta leggendo il colossale "Costantino il vincitore," pubblicato da Salerno Editrice 2016 di cui parlerò appena lo avrò finito.
Ma veniamo, a "Donne, madonne, mercanti e cavalieri. Sei storie medioevali," Laterza 2015.
Infatti, pur travolto dalle recenti uscite in tema di politica:
e altre uscite, dico, di chi lo accusa di essere antieuropeo quando critica le istituzioni https://youtu.be/UoSxFmCoX44 Barbero non manca mai di essere un riferimento.
Come spesso accade, quando leggi qualcosa che ti fa entrare a fondo nel tema trattato, ti sembra persino di parlare con l’autore del testo e così è capitato anche a me. Ecco cosa è successo.
"Caro professor Barbero Lei è un grande!" Me ne esco, una volta raggiunta l'ultima pagina del libricino finito tutto d’un fiato e nel cuore della notte.
"E perché mai?" mi chiede Barbero.
"In quanto," rispondo io, "Lei sa fare proprio ciò che va fatto quando si parla di storia o di qualsiasi altra materia dello scibile umano; cioè, il rendere questa disciplina accessibile a un pubblico di non tecnici, fuori come è il suo pubblico dalle paludate e polverose biblioteche dei noiosi parrucconi di secentesca memoria!" E aggiungo ancora: "La storia da Lei presentata con passione, diviene oggetto di riflessione non solo, e tanto, per l'oggi (historia magistra vitae di ciceroniana memoria!), ma un labirinto in cui perdersi volentieri quasi ci trovassimo in un'avventura alla Jumanji.”
“E ma se mi dice così, caro Lei, mi sa che mi accuseranno di aver fatto un’opera non scientifica…” titubante, obietta Barbero.
Lo rassicuro: “Ma neanche per sogno: il suo volume offre sei medaglioni degni di Plutarco e delle Vite parallele; il volumetto, cioè ci fa entrare nella vita di personaggi medioevali fra il '200 e il '400 e curiosare negli aspetti più reconditi di tre uomini (un frate, Salimbene da Parma, un mercante, Dino Compagni di Firenze, e un cavaliere, Jean de Joinville); e di tre donne (una suora, Caterina da Siena, una donna di lettere e di studio, Christine de Pizan, e una guerriera, l’arcinota ed eroina di Francia, Giovanna d’Arco).”
Mi osserva perplesso, quasi gli stessi dicendo che il suo lavoro non è un buon lavoro: “Miradoli, Lei non mi convince affatto: i miei lavori potrebbero pure essere criticati per eccesso di volontà divulgativa a discapito di…”
“Ma no, professore, per nulla affatto!” mi affretto a ribattere piccato. “Lei di questi personaggi ci dà tutto: vuoi la psicologia, vuoi il più puro senso dell'umanità, vuoi ancora la più banale vicenda terrena quasi fosse la nostra.” Faccio una pausa; poi: “Prenda, per esempio,” lo premo, “prenda la passione oserei dire femminista ante litteram di Christine e del suo essere donna, moderna e capace (in una società non proprio politically correct) di affermarsi come scrittrice su commissione; oppure il pragmatismo anglosassone di Dino Compagni: andiamo, professore, lei sa coniugare la scientificità delle fonti con una perfetta capacità di attualizzare il personaggio. Riconsideri ora la faccenda della magistra vitae…” e lascio la frase a metà per permettergli di riflettere. Poi, senza lasciargli scampo, riattacco sornione: “Eh sì, caro Barbero, quella vicenda è la nostra vicenda, ed è forse per questo che la storia appassiona tanto. Il suo contributo conferma quanto da me tanto più modestamente detto in occasione della Fiera del Libro di storico di Ferrara riportato in questa intervista http://tsd.altervista.org/scripta-manent-renato-carlo-miradoli-e-marco-serra-tarantola/ e che si può così riassumere: studiamo la storia perché è bello farlo e il suo libricino si avventura nei meati di un mondo apparentemente lontano, cioè il Medioevo.”
“Dice?”
“Certo che dico!” motteggio un po’ a mia volta. “Questo non significa che la competenza tecnica non sia necessaria e come usa dire: uno vale uno. Questa è una sciocchezza destinata (speriamo tutti) a sciogliersi come neve al sole: quanto emerge dai suoi interessantissimi contributi è il fatto che la competenza, il sapere approfondito e tecnico, quello che in modo sprezzante viene etichettato come nozionismo, non sono cosa noiosa; anzi, essa può pure essere piacevole, per non dire divertente sapere le genealogie, le cronologie, le date e gli alberi genealogici."
"Davvero, Miradoli?" mi chiede il Barbero cadenzando la o del mio cognome con il suo forte accento piemontese.
"Eh, sì! Davvero," rispondo io, facendogli il verso, di rimando, aprendo la mia e di davvero. "E," aggiungo subito, "così facendo, si potrebbe rovesciare il concetto di divertissement di Blaise Pascal, laddove il filosofo-monaco stigmatizzava le varie occupazioni umane quali il lavoro, il gioco, il mangiare, cioè tutte quelle non filosofiche in senso stretto, come volte soltanto a distrarre l'uomo dalla contemplazione della miseria in cui egli (l'uomo intendo, non Pascal!) versa. Lei, caro Barbero, è la prova di come si possa imparare divertendosi! E, quindi, benvenute queste distrazioni del professor Barbero!”
Il professore comincia a cambiare espressione e mi fissa dietro gli occhiali abbozzando un sorriso. L’ho convinto, penso immodestamente e incalzo subito: “Blaise Pascal ci invita ad avere il coraggio di affrontare la nostra pochezza umana senza distrarci, ma forse non aveva letto Barbero nel suo apparente divertissement: Lei, professore, ci dice che poca cosa furono anche gli uomini e le donne del passato, quando insinua una presunta forma di anoressia di Caterina o di Giovanna, la quale si rifiutava pure di vestirsi da donna!” E rido divertito sul serio. “Non solo: Lei afferma che, come noi, questi personaggi provavano noia e dolore, gioia ed entusiasmo. E se ciò ci fa divertire ben venga! Perché vede, caro Barbero, lei, divertendoci ci fa riflettere proprio come voleva Pascal."
"Grazie, Miradoli," mi sento dire da Barbero, "terrò conto delle sue parole."
E salutandolo cordialmente, ho preso sonno in pace.
Buona lettura e buonanotte.