Per quanto lunare possa sembrare il fare un’affermazione come quella che potete vedere nel link https://www.radiospada.org/2019/10/striscione-a-roma-giovanni-ix-ce-lha-insegnato-cancellare-un-sinodo-non-e-peccato-ecco-la-storia/ qualcuno ancora oggi nel 2019 in un clima di ignoranza religiosa in particolare e non solo, in una avanzato stato di decomposizione della cultura storica e dell’attività filosofica fra un rosario ostentato (da buon poligamo e padre di figli da matrimoni diversi!) e un vangelo, quasi fosse San Paolo, brandito come una spada (senza averlo mai letto: sia ben chiaro!), qualcuno può ancora vantare di sapere cosa sia il sinodo di Papa Stefano VI, quello di Giovanni IX nonché della storiaccia di Papa Formoso. Ce ne compiacciamo di certo.
Formoso in latino significa bello, ma, apparentemente, di bello Formoso nulla aveva per Stefano VI suo successore, né tantomeno di ortodosso, visto il trattamento che Formoso riceve da Stefano appena dopo la propria morte.
Ma procediamo con calma: leggete attentamente perché c’è da divertirsi (ahimé!).
Nel secolo IX la Santa Chiesa Apostolica Romana non brillava certo per santità e buon esempio (facile sarebbe la polemica che dice: “Perché, invece, nel 2019?” ma chi scrive non abbocca alla gustosa esca di una provocazione offerta su di un piatto di argento!) e vi è una faccenda, riportata fra l’aneddotico e lo storico, che ha infiammato la polemica fra storici della Chiesa e polemisti di sorta: e la faccenda è ricordata sotto il nome di “Il sinodo del cadavere.”
I fatti in breve.
Siamo in un secolo dopo la fine dell’impero carolingio e assistiamo alla divisione delle spoglie dei possedimenti di Carlo Magno fra i suoi discendenti, e anche a Roma vi sono avvisaglie di questa divisione di potere, individuata dagli studiosi nel partito filofrancese, e favorevole a Carlo il Calvo, e i seguaci di Ludovico il Germanico, capo del partito cosiddetto filogermanico (entrambi aspiranti al titolo imperiale). Formoso è Papa dall’anno 891 al 896: egli viene eletto con l’appoggio imperiale in cambio di una promessa, poi mantenuta da parte dello stesso, di favorire i seguaci dei Germanici. Prima di divenire Papa, Formoso già vescovo di Porto, diocesi suffraganea di Roma, era balzato alle cronache per aver subito un primo processo in un sinodo convocato dal suo predecessore Giovanni VIII, favorevole quest’ultimo alla fazione opposta, cioè la francese; Formoso, richiesto di presentarsi a rispondere delle proprie azioni germanofile, era tuttavia fuggito sul più bello e aveva riparato chissà dove per non essere arrestato, o peggio. Giovanni lo condanna allora in un secondo sinodo di lì a un paio di mesi e invalida tutti gli atti da lui compiuti nonché le ordinazioni amministrate.
La Storia per chi la ama davvero, e perciò la studia in modo non meccanico, non manca mai davvero di senso dello humour e dell’orrido. e non annoia. Quindi scusate se la metto sul ridere, ma studiare la Storia da secchioni rende la faccenda solo molto noiosa, mentre qui ci si diverte!
Dicevamo: i tempi erano tuttavia davvero idonei alle sorprese più esilaranti (mi si scuserà se uso aggettivi non scientifici e non storicistici per descrivere quegli anni, ma quelli qui usati rendono meglio la situazione intricata) e, infine, il successore di Giovanni, Marino I (882-884), riabilita Formoso, reintegra “in servizio” preti e diaconi da lui ordinati e, appunto, Formoso dopo due altri Papi (Adriano II e Stefano V per essere precisi) sale persino al tanto agognato trono di Pietro, potendosi così distinguere in vari modi a favore della sua cara fazione germanica. Ma anche per il centoundecimo successore di Pietro la giustiziera falciata giunge non molti anni dopo ed egli muore fedele al monito di Genesi 3,19 (almeno secondo la Vulgata latina): memento quia pulvis es in pulverem reverteris (se non sapete il latino andate a chiedere la traduzione al branditore di rosari: lui dovrebbe saperla). Ma, lontano dall’essere polvere, il Nostro viene riesumato da Stefano VI, come si diceva all’inizio, e processato per la terza volta anche se da morto, in una parodia di processo che avrebbe offeso le più elementari leggi, se non della procedura penale, almeno del buongusto. Infatti, il cadavere, in via di putrefazione avanzata dopo ben un anno dalla sepoltura, viene agghindato dei sacri paramenti pontifici (ora, in nome di una non meglio precisata povertà, non è più di moda vestirsi da Papa, come si sa, ma all’epoca era la prassi) e intronizzato in Laterano e “richiesto” (sic!) dallo stesso Stefano VI di rispondere delle medesime accuse avanzate a suo tempo da Papa Giovanni VIII.
Secondo Claudio Rendina, I Papi, Newton Compton Editori (volume pieno di imprecisioni, ma un buon testo di riferimento per gli appassionati che vogliano addentrarsi nella storia dei pontefici romani e dei pettegolezzi relativi), un mite e impaurito diacono della curia viene incaricato di discolpare l’illustre accusato, ma l’anonimo avvocato difensore risponde balbettando nonché esitando, tanto da non riuscire nel proprio intento di salvare il defunto pontefice a essere condannato a morire (o meglio, visto il caso, a ri-morire!) annegato. Avute le mani tagliate e gettato, dunque, nel Tevere, la leggenda racconta che un pescatore qualche tempo dopo avrebbe ritrovato il corpo, o quello che di lui restava fra le rive del Tevere, e lo avrebbe consegnato per una riabilitazione tardiva (la seconda a ben vedere: questo Papa amava fare tutto due o tre volte!) a Giovanni IX (898-900) ormai succeduto (due Papi dopo) al necrofilo Stefano VI.
E veniamo, così, al nostro lenzuolo.
È evidente il riferimento all’episodio della Synodus Horrenda di Stefano VI associato al sinodo (non meno orrendo per i promotori della protesta) sull’Amazzonia:
Giovanni IX
ce l’ha insegnato:
cancellare un sinodo
non è peccato!
Volgare forse, ma, efficace, lo stendardo di cattivo gusto esprime il dissenso di qualcuno contro il sinodo testé tenuto in Vaticano sull’Amazzonia. Non si parla d’altro da un mese e la polemica infiamma i social e non, la politica nonché il pettegolezzo fatto di una Madonna che in realtà è la dèa Pachamama, alberi sacri e prelati penosamente intenti a fare strane adorazioni negli augusti e angusti giardini della città leonina.
Evidente è lo scontro non solo fra due modi di intendere l’interpretazione della fede, ma, dal modo di guadagnare consensi da parte dei due contendenti, risulta chiara una cosa che forse era già presente al tempo di Formoso: a tutti è chiaro il fatto che la religione intesa come sistema di cose da credere, regole da osservare e liturgie da celebrare non può essere ignorata ai fini della conquista del potere, tentativo mascherato di buoni propositi. Così gli uni portano in Vaticano riti e oggetti di culto amazzonici e pagani voluti per i sostenitori terzomondisti affetti da complessi di colpa per passate violenze su popolazioni (presunte) inermi, nonché disprezzati dagli altri a causa (qui sì, di certo!) di un evidente paganesimo di ritorno in nome di ideali ecologisti e socialisteggianti in abito talare (se ancora si può dire di molti ecclesiastici in jeans e kefiah). Inutile dire che né gli uni né gli altri hanno il buon senso (gusto?) di mettersi nei panni nelle vittime di tutta questa faccenda (sulle orme forse di Stefano VI e di Giovanni XI), cioè i veri credenti, i quali, se anche sono pieni di colpe e di peccati, un peccato non l’hanno proprio commesso e, cioè, quello di avere una fede sincera “usata” a scopi politici, vuoi in senso progressista ecologico-socialista, vuoi in senso conservator-bigotto a tutto beneficio delle proprie azioni peccaminose e incoerenti. Sempre due i contendenti, nel 2019 essi non sono divisi fra un partito francese e uno tedesco, ma fra un’interpretazione diversa della stessa cosa, cioè della religione cattolica, laddove però le contraddizioni di entrambi gli schieramenti sono penose per non dire aberranti. Chi si professa cattolico intransigente e fedele al Sacro Cuore della Madonna, poi con la scusa di essere peccatore dà di sé uno spettacolo indegno delle parole spese a favore della religione; mentre chi della religione cattolica rappresenta il supremo garante e di essa ha l’onere di confermarla e diffonderla, la tradisce con riti magici e contro la tradizione più antica. Mah?
Sembra uno scambio di ruoli: la gerarchia passa alla politica quello che non sa più fare e la politica ad usum delphini (nel vero senso politico del termine) lo accetta per andare a trovare i consensi di coloro che nella gerarchia non si identificano più. Buffo, no?
Ai posteri l’ardua sentenza diceva il Poeta: chissà se fra mille anni qualcuno commentando il lenzuolo e la nuova Synodus horrenda nonché pagana sull’Amazzonia troverà un nesso oscuro (ma non poi così tanto) con un medioevo lontano.