Combattuto come sono anche io fra coloro che pensano o, come mi piace suppore, hanno un alto sentire intellettuale e umano, a riguardo della nave Aquarius che letteralmente in cattive acque deve attraversare il Mediterraneo; combattuto come sono nel vedere come la stessa nave
dei profughi debba cercare di farsi strada fra ostili manifestazioni di rifiuto e imponderate, isteriche quanto irrealistiche proteste di accoglienza le quali, peraltro, non tengono conto di problemi pratici nonché logistici, al punto che vivace si incendia la polemica e vengono tirati in ballo dall’una e dall’altra parte un po’ tutti i grandi responsabili di tanto sconcerto e, cioè, l’Europa che si è dimenticata la storia, quando umiliando l’Italia coi trattati di Versailles dopo la prima guerra mondiale provocò in Italia il fascismo, che a sua volta provocò il nazismo, e poi il Papa, per non dire del governo e dell’opposizione fino a scomodare Dio, il Vangelo del Cardinal Ravasi citato buonisticamente, senza menzionare le origini giudaico – cristiane del mondo occidentale, fino a giungere al nazismo, al comunismo al cattocomunismo e via elencando etichette e nomenclature varie; combattuto, dico, anche io più modestamente al pensare che forse il presente governo (che pure a me non piace granché) ha fatto bene a fare la voce grossa nella congiuntura attuale allo scopo di far sì che anche altre nazioni europee diano un sostegno alla nostra Italietta un po’ in prima linea su questo fronte; combattuto e in imbarazzo, però, nel leggere dello strazio di donne e bambini in alto mare (con il continuo rischio di finire poi in fondo a quel mare!); combattuto dall’idea che io almeno oggi ho mangiato e l’ho fatto ieri e che ho dormito in un letto comodo mentre altri, ammassati come animali ed esausti, hanno affrontato lo sballottamento ingrato della tempesta; combattuto, dunque, in questo altalenante rovello intellettuale e umano, capito in corso XXII marzo, a Milano, in un pomeriggio di giugno inoltrato quando il caldo si fa sentire e alcuni pervicacemente si recano in questa via chic dello shopping per ultimare gli ultimi acquisti prima di recarsi con i figli in vacanza a quel mare che tanto sarà diverso da quello che circa tremila fra uomini, donne e bambini hanno incontrato e combattuto fino a questa mattina.
Incontro due uomini dall’aspetto normale (un tempo si sarebbe detto: “vestiti in modo dignitoso,” ma si sa ormai lo “svaccamento” generale delle forme ci impedisce di fare tali affermazioni) uno con la barba e l’altro senza, e li incrocio giusto in tempo per sentir loro dire questa frase: “… una nave di merda carica di luridi negri schifosissimi.”
Essi potrebbero essere “il nostro postino, il lattaio o la guardia comunal” come suonava una canzoncina orrenda da noi cantata durante le gite scolastiche (si canterà ancora?): li osservo e resto a bocca semiaperta come il cobra incantato davanti al fachiro; e del mio combattimento di poco prima resta poco. Ma come? Tante intelligenze affaticatesi a trovare una soluzione al problema, tante risorse spese nel bene e nel male in operazioni volte ad aiutare i bisognosi e, poi, arriva qualcuno che magari domani mattina ci consegnerà una raccomandata a dire: “… una nave di merda carica di luridi negri schifosissimi”?
Allora forse il problema è un altro: il problema è che al fondo delle critiche agli aiuti umanitari non vi è il fatto pur legittimo che vengono impiegate risorse che potrebbero aiutare chi in Italia ha bisogno (vedi i terremotati, i senza lavoro, chi ci deve convivere nelle periferie ecc ecc.), ma è banalmente un problema di basso razzismo strisciante. Con l’aggravante di essere stato a lungo provocato, covato e negato. Mi sorprendo a riflettere che in effetti i disperati che arrivano sulle nostre coste non sono disperati qualsiasi, ma negri. Eh, sì, perché vi sono disperati e disperati, quelli nostri (bianchi, o in fondo più pallidi degli africani!) e i negri. Che sciocco sono stato: essi sono negri, non bisognosi, non disperati, ma bisognosi e disperati negri! E il colore della pelle fa tutta la differenza.
Non è che vi siano persone che rispettano la legge e persone che non la rispettano (e gli italiani, spesso non sono certo quelli che danno il buon esempio civico ai nuovi arrivati): ma i negri e i bianchi. Oppure i cinesi e i bianchi, e via richiamando tutte le razze di cui il nostro pianeta è ricco. E allora mi sovviene (visto che in questo blog si parla di libri) un volume imperdibile di Harper Lee, Il buio oltre la siepe, edito da Feltrinelli nella versione italiana.
Il romanzo è una vicenda oscura nell’Alabama degli anni ‘30 dove un uomo di colore, Tom Robinson, viene accusato e condannato in primo grado per aver apparentemente violentato una ragazza bianca. Nei fatti, la ragazza ha subito violenza dal proprio padre, ma il tribunale condanna ugualmente il “negro” difeso da Atticus, suo avvocato bianco, descritto dalla figlia che è l’autore del libro nelle sue memorie, e che intende ribaltare in appello la sentenza. A ben vedere infatti il bracciante Tom essendo di colore deve essere colpevole e la gente del luogo insulta il legale chiamandolo persino negrofilo: un negro non va difeso. Poco importa se è colpevole o innocente, egli è negro e non va difeso. Purtroppo, Tom tenta la fuga in attesa del secondo processo e, suo malgrado, conferma la propria condanna non credendo possibile che il suo avvocato possa scagionarlo dalla inevitabile condanna, e viene ucciso da un poliziotto. Il libro, da cui fu tratto un bellissimo film con Gregory Peck, narra delle molte paure degli esseri umani, e di come esse siano sempre frutto di qualcosa che non si conosce, o che nei casi peggiori, si ha paura di conoscere e che anche senza una società multirazziale ci sono sempre state: il vicino di casa burbero e sociopatico, il clochard sporco che parla da solo per la strada, il compagno di classe disabile, il malato mentale, la persona che soffre di solitudine o depressione. Il buio c'è sempre stato, come quella paura del buio, del diverso, dell'ignoto, del cambiamento.
Ma mentre sto dedicando le mie energie intellettuali a queste vicende, i due uomini si sono ormai allontanati parlando a vele spiegate “della nave di merda” e inseguirli sarebbe forse persino pericoloso. Chi è capace di dire tali cose, proprio un fine intellettuale non è e il consigliar loro di leggere questo volume (oppure di leggere. Punto!) non sarebbe una bella idea per la mia incolumità (non sono un vile, ma neanche uno stupido). E, dunque, decido di consigliarlo ai miei lettori del blog, cercando così di consolare il loro cruccio interiore che è senz’altro simile al mio.
Buona lettura.