Scusate tutti del ritardo: questo è stato un periodo lavorativo molto duro e conteso fra vita professionale e scrittura del secondo romanzo messo in cantiere. So di poter confidare nella vostra comprensione.
Vorrei sottoporre alla vostra gentile attenzione una riflessione che sto facendo. Sto rileggendo il noto volume di Primo Levi, Se questo è un uomo, e vorrei suggerire un pensiero che riguarda l’uomo.
Se Egli fa emergere tutto il dolore della deportazione, dell’umiliazione nonché dell’abbandono in cui versa il deportato nel campo di concentramento, Primo Levi sottolinea un aspetto della natura umana che mi colpisce e mi atterrisce. E questo aspetto è l’essere a propria volta, proprio nel momento della prova, proprio quando tutto suggerirebbe il contrario e cioè solidarietà, amore e volontà di soccorso verso i propri simili, lo strumento più feroce della crudeltà della prigionia.
Levi ci dice che non già il capò, non la SS, non il crudele oppressore è colui che contribuisce maggiormente alla tua sofferenza di uomo internato, ma il tuo compagno. Egli è, cioè, colui che più di altri colpisce là dove egli sa che risiede l’occasione più propizia di tradimento, crudeltà, sofferenza. Il tozzo di pane muffo che tu hai conquistato con gran fatica e che potrebbe allungarti la vita di qualche ora ti viene sottratto con l’inganno precisamente da colui che vive insieme a te la condizione di prigioniero.
I nazisti chiamavano gli ebrei o i prigionieri del loro Lager Untermenschen, cioè subumani. Essi erano di una razza inferiore, appartenenti a ideologie per Hitler errate, oppure di orientamento sessuale contro natura (i famosi triangoli rosa!). Ecco dunque però che emerge un aspetto di sub-umanità davvero: essa è violenta, crudele, impietosa ed egoista. I prigionieri non sono subumani a causa delle idiozie deliranti del Mein Kampf: essi lo sono proprio perché umani. L’umanità è la causa più profonda della propria sub-umanità. L’uomo in poche parole è cattivo.
Veniamo dunque alla riflessione che ho fatto.
Visto che le cose stanno così, appare chiaro che le strade da percorrere sono due: o lo accettiamo e cioè accettiamo di covare in noi l’istinto brutale della fiera che approfitta della disgrazia del proprio simile, oppure cerchiamo di cambiarla. E se non riusciamo ci inventiamo una natura che non esiste.
Nella mia Epistola a Tiberio, al capitolo X intitolato Monte Tabor, Pisone e Zaccheo parlano dell’uomo e fanno emergere dalle loro parole una riflessione che è più che mai attuale in questo contesto: l’uomo, proposto da Gesù e dal cristianesimo, non esiste, cioè un uomo capace di sacrificio di sé, oblativo e redento. E allora la fede cattolica lo inventa: un uomo siffatto non esiste e allora lo inventiamo. Della serie: come sarebbe bello: e allora esiste.
Il cristianesimo ha la forza di creare l’illusione che ciò che è vero in realtà non lo è, e che l’uomo tradito e umiliato è salvo. Il cristianesimo è pura arte e la forza dell’effetto è sì la nostalgia, ma a ben vedere l’illusione dolcissima di una realtà che Padre Kolbe ed Edith Stein sono lì a ricordare.
Alla prossima.