Se mediatica e di facile impatto appare la figura di Jorge Maria Bergoglio, cioè Francesco così come Egli si fa chiamare seguito in ciò dai media, meno competente e preciso per dottrina e teologia sembra essere il Papa, a sentire Flavio Cuniberto nel suo mirabile scritto edito da Neri Pozza, Madonna Povertà.
Eh sì, perché i “consulenti” del Papa hanno ispirato a firma di Francesco un testo che, come sostiene l’autore del libro, appare in tutta la sua contraddizione, tradizione-modernità, frutto della confusione teorica della gerarchia.
Scandalizzati? Chi vi scrive ha cessato di indignarsi da tempo: penso alla figura del sedicente vescovo di Roma (giammai lo si chiami Papa e vicario di Cristo, per la Carità: termine obsoleto, ma già foriero di una visione teologia precisa e diversa) e leggendo Madonna Povertà vi ho come trovati scritti gli stessi pensieri che affollano la mia mente sin dal cordiale “Buonasera” del giorno dell’elezione del secondo Romano Pontefice vivente.
Infatti l’inclito Cuniberto, professore di estetica all’Università di Perugia, offrendo una lucida analisi delle due encicliche francescane Evangelii Gaudium, e Laudato si’, ne critica il contenuto sia da un punto di vista teologico, sia attraverso un’analisi che oserei chiamare di coerenza interna e adesione alla fede cattolica.
Del primo documento pontificio si critica la contraddizione fra il concetto di povertà cristiana come dovrebbe essere intesa a partire dalla tradizione spirituale e teologica (non sto qui a scomodare Clemente Alessandrino e il suo Quis Dives Salvetur) e la categoria sociologica che della povertà emerge nella Evangelii Gaudium.
In buona e bella sostanza, si chiede Cuniberto, se la povertà in quanto privazione materiale di cose è uno scopo e non un mezzo per la redenzione, perché mai accanirsi con tanta enfasi per combattere la condizione di miseria di tanti uomini che vivono nell’indigenza più estrema?
Delle due l’una: o la povertà è un bene e allora ben vengano i poveri e la decrescita come via di fuga verso una società più giusta, più buona, più “tutto”, oppure è un male, e allora usiamo gli strumenti che i tecnici dello sviluppo e dell’economia offrono per migliorare la condizione degli uomini, e non la decrescita.
Se poi la povertà intesa secondo la tradizione (dalle stesse parole di Gesù fino a Clemente di Alessandria su su a prima dell’arrivo di Bergoglio) debba invece essere intesa come precarietà e povertà di spirito, che ci azzecca tutto questo pistolotto sulla necessità di aiutare/confermare i poveri nel loro essere poveri?
Veniamo alla seconda enciclica che in modo ancor più subdolo e non tradizionale accarezza l’idea della natura come luogo della presenza di Dio. Viene da chiedersi dove sia finito l’antico adagio della Genesi che invita l’uomo a sottomettere il Creato dando alle creature un nome. E di qui ancora ci si può chiedere che fine abbia fatto l’essere nel mondo e non del mondo tipico del cristiano che obbedisce alla legge di Dio e non a quelle della società moderna. Sembra quasi (ma qui c’entra il Concilio Vaticano II e non Bergoglio soltanto) che a furia di cercare i germi di bene nel mondo non più visto come il nemico della fede e del fedele, la Chiesa Romana si sia trovata impantanata proprio in quel mondo da cui cercava di fuggire non essendo più capace di distinguere fra bene cristiano e male, oppure più semplicemente fra verità e menzogna.
Di Cuniberto parla anche nel suo editoriale di Sabato scorso su “Sette” inserto de Il Corriere della Sera n°14 dell’8 aprile 2016), Pier Luigi Vercesi dichiarandosi sconcertato (anche se invita a pensare con un: “parliamone”) dove l’unico sconcerto che provo è, da non cattolico, leggere che il Papa dei cattolici si è dimenticato della croce e del sacrificio di Cristo, per una più laica e moderna accettazione di quanto di buono ci sia già nel mondo, inducendo a chiedersi perché mai Gesù si sia tanto disturbato di morire sulla croce. Avrebbe più comodamente potuto invitarci a una riunione di condominio mondiale in cui discutere di povertà e riciclaggio dei rifiuti organici e non.
Concludo qui e vi invito alla lettura del piccolo testo illuminante e “bergoglianamente” vi auguro Buonasera.